Dieci giorni. Tanto ci è voluto alla Regione Lombardia per trovare il coraggio di rispondere alla famiglia di Eluana Englaro, dieci giorni di temporeggiamento necessari forse per convincere il direttore della Sanità regionale Carlo Lucchina ad andare contro a una sentenza della Cassazione, che imponeva di lasciar morire la comasca in coma ormai da 16 anni. Della questione avevo già parlato, ma peccando d'ingenuità speravo che questa volta la situazione fosse troppo difficile da ribaltare persino per una giunta regionale governata da Formigoni, e invece sembra che, complice forse il clima nazionale (che qualche illuso, dopo le elezioni, sperava sarebbe stato insperabilmente laico per via delle assenze degli aficionados del Vaticano dal governo), sia stata sancita addirittura la superiorità del pensiero clericale sulla giurisprudenza. Ma facciamo un passo indietro e precisiamo la questione, partendo (dato che ho già scritto anche a questo proposito) dall'assunto che la Englaro deve poter morire.
Per farci una panoramica semplificata sulla vicenda immaginiamo il diritto come un ring, l'immagine sembra efficace (e temo sia in effetti ormai abusata), diamo quindi un'occhiata ai due contendenti: ad un angolo la Costituzione, che fa presente come qualunque cittadino abbia il diritto di rifiutare una cura, all'altro angolo l'interpretazione giurisprudenziale (già sbandierata a suo tempo da il Foglio e dai giuristi che raccolse a sé) per cui l'alimentazione e l'idratazione non sono cure ma semmai trattamenti irrinunciabili (negando i quali si crea, a dir loro, un pericoloso precedente di eutanasia omissiva). Il match è già finito, e i giudici hanno dato la vittoria, ai punti, alla Costituzione. Tuttavia, pare che dopo il ricorso il risultato sia stato ribaltato poco prima della premiazione: ora sta vincendo l'interpretazione giurisprudenziale.
Ora, la differenza tra questo match immaginario e la realtà è che nella realtà (il posto, per inciso, in cui viviamo) non si tratta di tifare per la Costituzione o per i giuristi del Foglio, ma di decidere se una famiglia con a carico una figlia non solo in coma totalmente irreversibile, ma dotata della capacità di autocoscienza di una pianta, può o meno seppellirla ed elaborare il proprio lutto. In aggiunta a questo la situazione non è così limpida come Lucchina vuole farci credere, dato che la Regione Lombardia si sta in pratica arrogando il diritto di disattendere a una disposizione della Corte di Cassazione (per stare nella metafora diciamo che il ricorso è di dubbia validità), organo preposto (tra le altre cose) ad avere l'ultima parola in fatto di interpretazione giurisprudenziale. In pratica, quando su uno specifico caso la legislazione è carente, è compito della giurisprudenza (e non di un'amministrazione regionale) e quindi in ultima istanza della Cassazione di decidere come interpretare la legislazione stessa.
La vicenda di Eluana Englaro sembra invece destinata a procedere ancora per molto tempo, pure se il padre sostiene di avere qualche contatto in altre regioni e promette di non arrendersi così (anzi, meno ingenuo di me lui si aspettava questo sviluppo). Nel frattempo il governo, invece di lamentarsi se la Cassazione fa il suo lavoro, dovrebbe legiferare sulla questione ormai irrinunciabile del testamento biologico. O, se preferisce, potrebbe rendere più chiara la situazione in senso restrittivo, avvallando cioè l'interpretazione che impedisce alla Englaro di morire. Fino ad ora si può anche sostenere che nel caso della Englaro ci sia il rischio di un'eutanasia omissiva, ma anche se fosse non è vietata da nessuna legge, per ora e speriamo per sempre.
03/09/08
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